Monongahela Rye: ascesa, declino, e rinascita dello storico rye whiskey della Pennsylvania.
A partire dalla metà degli anni 2000, si è assistito ad una rinascita della cultura dei cocktail in alcune zone degli Stati Uniti, dell’Europa Occidentale e dell’Asia Orientale. I bar lavorano sempre di più con la miscelazione, tentando di attirare l’attenzione dei bevitori di distillato liscio. Grazie alla popolarità dei cocktail, si è creato un crescente interesse per l’American Rye Whiskey. Ai più, questo whisky speziato e audace può sembrare relativamente nuovo, passando da pochi marchi di nicchia a una popolarità improvvisa nei luoghi della miscelazione più di tendenza. Ma ogni intenditore sa bene che il rye whiskey ha una lunga storia, addirittura più antica del bourbon oggi così popolare. Insomma, ha semplicemente trovato una nuova giovinezza produttiva.
Il rye whiskey risale al periodo coloniale americano, quando coloni tedeschi, olandesi e svizzeri si trasferirono in Pennsylvania nella metà del XVIII secolo. Molti erano contadini mennoniti. Herman Mihalich della Dad’s Hat Whiskey fa notare come la segale era un cereale ben noto a questi coloni, che attecchì subito sui suoli delle zone centro-occidentali della nuova colonia. Mihalich ha suggerito anche che la segale aveva un’ottima resa agricola: era utile nella rotazione delle colture e nella fissazione dell’azoto. In un intervista, lo storico Samuel Komlenic spiega che “il whiskey era una componente necessaria della frontiera. I coloni lo usavano al posto del denaro, e veniva considerato immancabile nella vita quotidiana”. Il cereale aveva una breve durata dopo la raccolta, quindi andava subito trasformato in whiskey. Dato che serviva del tempo per portare il distillato nei mercati delle aree orientali, una parte veniva messa in botti di legno che col tempo conferivano un sapore decisamente migliore di quello che i contadini e i distillatori potevano avere nelle aree occidentali. Ci fu persino una ribellione nella Pennsylvania occidentale a causa di una tassa sul whiskey che andava a danneggiare in maniera sproporzionata quelle zone che erano più dipendenti dal whiskey. I disordini cominciarono nel 1792 e culminarono nell’Ottobre del 1794, quando il presidente George Washington dovette muovere su Pittsburgh a capo delle milizie statali per fermare la ribellione.
Ma cos’era esattamente il Pennsylvania Rye Whiskey, conosciuto anche con il nome di Monongahela Whiskey (dal fiume omonimo)? Durante l’intervista, Komlenic ha schematizzato le principali caratteristiche di questo antico whiskey di segale: primo, il whiskey veniva fatto con un mash di soli due cereali con proporzione fissa dell’80% di segale e 20% di orzo. Spesso veniva infatti etichettato come “Pure Rye”. Secondo Mihalich, l’orzo maltato veniva incluso per ammorbidire il sapore e perché aggiungeva enzimi utili per la fermentazione che non erano presenti nella segale. L’altra possibilità era un mash 100% segale, spesso chiamato “All Rye”, composto principalmente da segale non maltata.
La seconda caratteristica era di usare solo il processo di sweet mash invece del più comune sour mash. Nel sour mash, infatti, si toglie prima della distillazione una porzione della massa fermentescibile composta da cereale, lievito, e acqua per aggiungerla alla mistura che seguirà. Il sour mash è tipico del bourbon, mentre il Monongahela Whiskey usa tradizionalmente solo lo sweet mash che non prevede l’utilizzo di alcuno starter di fermentazione, circostanza che aumenta la variabilità tra i lotti.
La terza peculiarità era l’utilizzo di un particolare alambicco a tre camere. Komlenic spiega che questi alambicchi erano relativamente comuni tra la fine della Guerra Civile e l’inizio del Proibizionismo. In pratica, questi alambicchi erano tre pot still impilati e collegati. Il design di fatto era una combinazione del pot still con la struttura del più efficiente alambicco a colonna. Ad oggi ci sono pochissimi alambicchi a tre camere ancora attivi.
La quarta e ultima caratteristica era il processo di invecchiamento. La maggior parte delle distillerie americane di whiskey usano magazzini di legno non riscaldati per conservare le proprie botti, condizione che permette, tanto alla struttura quanto alle botti, di massimizzare il contatto con i cambiamenti atmosferici. Questo causa variazioni nello scambio tra le botti e il whiskey a seconda della temperatura, umidità, e stagione. Komlenic illustra invece che il Monongahela whiskey subiva un processo di invecchiamento completamente diverso: le distillerie preferivano infatti usare dei magazzini in mattoni riscaldati a vapore. Spesso addirittura mantenevano temperature superiori ai 21 °C per tutto l’anno. La combinazione della temperatura con le spesse pareti di pietra permetteva uno scambio maggiore tra whiskey e legno delle botti. Il risultato era un distillato molto più pieno, ricco, e strutturato rispetto a qualunque rye whiskey moderno.
Questo stile di whiskey sembra essere scomparso senza lasciare tracce. Come mai? La ragione più ovvia è il danno causato dal Proibizionismo alle distillerie americane. Solo poche distillerie furono selezionate dal governo per continuare a produrre per scopi medicinali, e i consumatori dovevano ricevere una prescrizione medica per ottenere un whiskey. Altre distillerie hanno dovuto chiudere i battenti, finendo in rovina. Dopo il Proibizionismo, l’intera industria americana ha dovuto ripartire da zero, senza quasi alcuna botte sopravvissuta da vendere o da invecchiare. Ricominciare a vendere sul mercato avrebbe richiesto anni. Mihalich suggerisce un altro aspetto per cui il rye whiskey fu più duramente colpito del bourbon. Durante il Proibizionismo c’era un grosso traffico illegale di bottiglie dal Canada, che venivano spesso etichettate come rye whiskey anche se contenevano un distillato blended. Questo blended canadese era in realtà molto più economico e molto più facile da bere per i consumatori rispetto al genuino e più artigianale Pennsylvania rye. In questo modo i prodotti canadesi fagocitarono di fatto il mercato dei produttori di Monongahela Rye, che non riuscirono mai più a riprendersi. Eppure, secondo Komlenic, “Il proibizionismo fu il chiodo alla bara, ma non la causa del declino.” Egli ipotizza che le ragioni della decadenza sono da ricondurre alla Guerra Civile Americana, 55 anni prima del Proibizionismo. Durante e dopo la guerra, ci fu un intenso scambio di prodotti tipici, tra cui il whiskey, tra i soldati dei due schieramenti. Questo portò a una diffusione capillare del più dolce bourbon di mais tipico degli stati del Sud. In breve tempo il bourbon aveva preso il controllo del mercato del suo speziato e saporito vicino. Alla fine del Proibizionismo, nel 1933, il mercato del rye era ormai confinato ad una piccola nicchia.
Cosa riserva il futuro per il Pennsylvania/Monongahela Rye? Sia Mihalich che Komlenic fanno notare che al momento non c’è una distilleria che rispetta i quattro parametri già menzionati. Dad’s Hat è molto vicina in termini di mash bill, perché Mihalich cerca di essere storicamente accurato, sia in termini di gusto che di stile. La Leopold Brothers Distillery di Denver, in Colorado, sembra essere una delle poche distillerie che ancora adoperano un alambicco a tre camere. Tuttavia questa compagnia produce un diverso tipo di whiskey di segale, il Maryland Rye, che nella versione contemporanea include una parte di mais nel mash per ingentilire e addolcire il gusto. L’originale Monongahela Rye Whiskey aveva un gusto molto pronunciato, pieno, ricco, e strutturato. Nessun produttore americano sembra adoperare magazzini riscaldati in muratura per lo stoccaggio delle botti. Secondo Komlenic: “Nessun produttore può fare il vero Monongahela Rye se non si rispettano i primi tre parametri. Che io sappia, nessuno sta cercando davvero di ricrearlo.” Eppure, l’intera categoria dei rye whiskey sembra essere in grande spolvero grazie alle distillerie artigianali che ne imbottigliano sempre di più e contribuiscono ad educare ed incuriosire i consumatori. “Sempre più persone vogliono conoscere il mondo del whiskey, soprattutto del rye e del bourbon,” dice Mihalich. Questo boom recente va anche ricondotto alla crescente popolarità dei cocktail a base di rye e delle semplificazioni legislative per l’apertura di nuove distillerie in molti stati, tra cui Pennsylvania e Maryland.
Per l’abbinamento di sigari con Monongahela Rye Whiskey, e altri whiskey di segale di buona struttura, Komlenic mi ha subito suggerito il Diesel Unholy Cocktail Torpedo, un sigaro pieno e strutturato che usa tabacco del Nicaragua, della Repubblica Domenicana, e Pennsylvania Broadleaf. Mihalich invece preferisce sigari più morbidi e di media struttura, come per esempio i prodotti La Gloria Cubana per il mercato americano (non quelli Cubani dunque).
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