Lo Zucchero nel rum

Lo Zucchero nel rum

Lo zucchero nel rum e l’annosa questione della composizione dei rum.

Nel 2014, dopo anni di discussioni sotterranee, a seguito dell’indagine casalinga di alcuni appassionati che erano molto attivi su Reddit e su altri forum di discussioni, scoppiò una infuocata polemica sul web a proposito del contenuto effettivo di zucchero di alcuni rum celebri (anche oltre i 50 g/l). Poco dopo, i siti web della Alko, l’autorità finlandese per la vendita di alcolici, e della Systembolaget, la corrispettiva autorità svedese, registrarono un improvviso aumento di visitatori internazionali sulle pagine che riportavano i risultati delle analisi chimiche obbligatorie sulle bottiglie che potevano essere vendute sul mercato locale. Gli appassionati scoprirono infatti che le analisi professionali della Alko e della Systembolaget mettevano nero su bianco la composizione, incluso il grado zuccherino, di ogni bottiglia presente sui rispettivi mercati, tra cui ovviamente la maggior parte dei rum mainstream di produttori come El Dorado, Zacapa, Don Papa, Angostura, Plantation, Matusalem, Bacardi, e tanti altri. Queste scoperte alimentarono a dismisura la polemica trasformando la storica diatriba tra rum zuccherati e non zuccherati in una vera e propria disfida tecnica. All’epoca si parlò addirittura di frode e di adulteramento per alcune bottiglie che vedevano concentrazioni tali di ‘aggiunte’ (tra zucchero, caramello, coloranti e altri additivi) da rendere molto difficile una distinzione marcata tra il ‘vero rum’ e il tanto deplorato ‘spiced rum’ (ovvero le bevande a base di rum che da etichetta prevedono aggiunte di aromi artificiali, miele, e zucchero).

Inizialmente i produttori accusati cercarono di difendere i propri prodotti usando varie strategie comunicative (dal rispetto delle ricette storiche fino a fantasiose giustificazioni su presunte varietà particolari di canna da zucchero usate per la distillazione o sulla tipologia di invecchiamento in botte), per poi decidere di comune accordo che la questione dovesse essere semplicemente lasciata al gusto personale dei bevitori. Nel maggio del 2014, Alexandre Gabriel, patron di Plantation (nonché produttore di cognac e gin), presentò una lunga difesa dell’uso dello zucchero nel rum come elemento essenziale per lo stile di questo distillato in maniera simile, per esempio, alla fondamentale tecnica di dosaggio degli Champagne. Insomma, stile e gusto personale sono gli elementi che caratterizzano il rum come distillato delle infinite possibilità. Poche settimane dopo, Richard Seale, leggenda del rum e patron di Foursquare (la più importante distilleria delle Barbados), pubblicò un lungo articolo in cui denunciava apertamente la questione e puntualizzava come l’aggiunta di zucchero fosse il problema più imbarazzante dell’intera industria, talmente importante che di fatto impediva tecnicamente di poter considerare il rum un distillato ‘serio’ al pari di, ad esempio, whisky e cognac (i quali avevano già da tempo fatto, e risolto, i conti con lo zucchero aggiunto). Per Seale, l’aggiunta di zucchero non poteva essere considerata una questione di gusti, ma una questione tecnica: bisogna imporre chiarezza e limiti sensati alla pratica dell’aggiunta di zucchero per salvaguardare l’identità del rum. Infatti, Seale denunciava che senza tali regole, la valutazione critica dei rum non aveva senso, perché così venivano a mancare gli elementi essenziali per poter discriminare la natura di un distillato in fase di recensione. Non era possibile, secondo Seale, doversi affidare ai siti web di agenzie statali estranee: era necessario un nuovo approccio comunicativo per poter dare uno statuto solido e inattaccabile alla produzione del rum di qualità. In effetti, per Seale la questione era molto più dirimente: è vero che il mondo del rum è affascinante perché contiene infinite anime al proprio interno, ma si può davvero considerare come lo stesso prodotto un rum da alambicco singolo e un rum da colonna, ovvero un rum da puro succo di canna e un rum da melasse? Marcare questa differenza evidenziava un problema ben più importante rispetto alla pratica dell’aggiunta di zucchero, ma al contempo poteva scoperchiare un vaso di Pandora che nessuno nell’industria sembrava voler toccare per paura di scatenare infinite discussioni legislative e un pericoloso polverone mediatico che poteva solo confondere la clientela.

La polemica ha continuato a divampare negli anni creando un’aspra opposizione tra i fautori dello zucchero e i fautori di un supposto rum autentico, ma di fatto ha finito per mettere in disparte la ben più importante distinzione tra rum da alambicco e rum da colonna. Come per il whisky, il mercato del rum, nel frattempo, si è enormemente diversificato, seguendo la svolta verso l’artigianalità impressa dal successo delle birre craft e premiando quindi quei produttori da sempre più attenti al rispetto e alla comunicazione delle tecniche artigianali. Altresì è vero che i produttori mainstream non hanno perso tempo e hanno sviluppato simili strategie commerciali per cavalcare la nuova tendenza (sia tramite acquisizione, sia tramite craftwashing). Nel maggio del 2021 si è arrivati poi un punto di svolta nel mercato europeo che ha finito per condizionare l’intero settore: la decisione dell’Unione Europea di intervenire sui livelli di zucchero nella composizione finale dei rum. Il limite massimo di zucchero è diventato di 20 g/l (prima era 100 g/l, un valore ritenuto così alto da essere praticamente ininfluente, visto che è di fatto quello della Coca Cola), oltre quel valore la bevanda doveva essere etichettata come “Spirit Drink”. Nell’ultimo anno tutti i produttori hanno dovuto adattarsi alla nuova legislazione, ma per la maggior parte si è trattato di modifiche impercettibili al gusto comune: i più hanno scelto infatti di scendere al minimo di 20 g/l, quindi riducendo di poco la concentrazione, e solo alcuni come Angostura hanno optato per una rivisitazione sostanziale dei propri prodotti (come il 1787 passato da 30 g/l a quasi zero). Per altri ancora, come per il Dictador 12 e il Diplomatico Mantuano, si è scelto di riposizionare più in alto la concentrazione zuccherina verso i 20 g/l, probabilmente per riorganizzare le nuove gamme.

Non si può dire al momento se ci sia stato un cambiamento effettivo nella qualità dei nuovi distillati, perché solo un’analisi rigorosa permetterà di valutare gli effetti delle nuove soglie. Eppure, continuano a mancare sia un ente specializzato sia piena chiarezza informativa sulle etichette. Inoltre, la sostanza delle nuove regole non sembra aver prodotto alcun passo avanti nella comprensione delle tipicità produttive del rum: se da un lato le nicchie di mercato delle produzioni più artigianali si sono espanse (e di questo la Foursquare di Seale, insieme a tanti produttori di rum pot stil, ha certamente beneficiato), dall’altro le vendite dei rum mainstream legati al gusto più morbido e ‘costruito’ non hanno registrato flessioni di vendita, grazie alla forte presenza dei rispettivi marchi. Anzi, in generale, si può dire che per il rum si è aperta una nuova stagione propizia di crescita dell’intero comparto, con proiezioni che portano ad un aumento del 40% del mercato nei prossimi 5 anni. La disponibilità di rum sui mercati internazionali è cresciuta a dismisura, sembra esserci spazio per tutti, soprattutto perché i rum riescono ancora ad offrire un alto rapporto qualità-prezzo rispetto a prodotti come whisky e cognac, ma bisogna capire come le attuali difficoltà internazionali influenzeranno il mercato dei prezzi. Nel frattempo, il consiglio migliore è quello di esplorare le varie anime di questo splendido distillato finché il momento positivo rende possibile acquistare bottiglie interessanti ad un prezzo davvero concorrenziale.

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SPIRITS LOVER

Non perderti i nuovi rilasci e i distillati con i punteggi più alti!